Aspetti meccanicistici dell’accumulo di ferro

Nuovi possibili meccanismi alla base di BPAN

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Nuovi possibili meccanismi alla base di BPAN

Coinvolgimento dei lisosomi e accumulo di ferro, ecco i risultati del progetto di Lena Burbulla appena concluso

Si è concluso il progetto di ricerca della dott.ssa Lena Burbulla dedicato allo studio della neurodegenerazione da accumulo di ferro (NBIA) associata alla proteina beta-propeller (BPAN). Finanziato nel 2019 con un budget complessivo di €65.000 messo a disposizione da Aisnaf, NBIADA e HoBa insieme, il progetto è stato condotto presso la Northwestern University a Chicago in un periodo di 18 mesi.

La malattia BPAN è causata da mutazioni del gene WDR45, che è coinvolto nel processo di autofagia, il meccanismo attraverso cui i componenti delle nostre cellule che non servono vengono degradati e riciclati.

Ad oggi, gli eventi che portano dalla mutazione del gene WDR45 all’accumulo di ferro nel cervello e a tutte le manifestazioni patologiche osservate nei pazienti con BPAN non sono stati ancora chiariti.

Per comprendere questi meccanismi, come primo obiettivo, la dott.ssa Burbulla ha generato neuroni paziente-specifici partendo da cellule staminali pluripotenti (iPSC) ottenute a partire da piccoli lembi di cute del paziente. Dallo studio di questi neuroni, è emerso che il gene WDR45 potrebbe essere coinvolto nel processo di smaltimento di proteine e altre macromolecole che avviene in particolari organelli cellulari chiamati lisosomi. In breve, sembrerebbe che nei neuroni BPAN, i lisosomi vadano incontro a difetti di sviluppo e di funzionamento. I lisosomi difettosi non sarebbero quindi in grado di processare correttamente le molecole destinate all’eliminazione, incluse le proteine che legano il ferro. Il dato suggerirebbe dunque una possibile spiegazione per l’accumulo patologico di ferro osservato nei neuroni dei pazienti BPAN.

Lo studio nei neuroni ha inoltre messo in evidenza un accumulo di neuromelanina, che sembrerebbe derivare dalla cattiva regolazione del ferro. La neuromelanina è, infatti, una delle molecole che legano il ferro ed è tipicamente presente nei neuroni dopaminergici – i neuroni più colpiti in BPAN.

Il secondo obiettivo del progetto riguardava la creazione modelli della malattia più sofisticati dei neuroni, i cosiddetti mini-brain. Partendo sempre dalle cellule staminali pluripotenti dei pazienti, la dott.ssa Burbulla è riuscita a produrre strutture cellulari tridimensionali che, pur essendo molto più semplici del cervello umano, consentono di mimare e studiare la patologia in un sistema assimilabile a un piccolo cervello. Le analisi effettuate hanno confermato che i mini-brain contengono strutture tipiche delle regioni del cervello interessate da BPAN, e hanno evidenziato alterazioni patologiche simili a quelle osservate nei modelli cellulari più semplici, come la diminuzione degli enzimi lisosomiali e l’accumulo di neuromelanina.

In questi sistemi, si è inoltre visto che la perdita di funzionalità di WDR45 colpisce anche gli astrociti, che sono cellule normalmente presenti nel cervello a sostegno dei neuroni. Il dato aggiunge un altro tassello importante al quadro dei meccanismi della patologia.

Il terzo obiettivo del progetto era orientato all’esplorazione di strategie terapeutiche. Tra gli approcci sperimentati, risultati preliminari interessanti sono stati ottenuti utilizzando molecole antiossidanti che, nei modelli, hanno mostrato una parziale normalizzazione dei difetti evidenti nelle prime fasi dalla malattia, ossia prima che si manifesti l’accumulo di neuromelanina.

In definitiva, i risultati del progetto, per quanto ancora preliminari, aprono nuove e interessanti prospettive sulle funzioni del gene WDR45 rispetto al ruolo che esso svolge nei neuroni e nelle altre cellule del sistema nervoso centrale e rispetto a quelle che potrebbero essere nuove strategie terapeutiche.